Quanti e quali dati? Pochi e buoni.

Metriche - Big Data - Small Data

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In Sintesi

Usare una metrica significa dotarti di una bussola che a grandi linee ti guida verso una meta. Adottare un sistema di metriche significa avere una mappa completa per orientarti all’interno della grande quantità di decisioni che si devono prendere. Pensa alle metriche come un sistema senza il quale il tuo viaggio sarà più lungo, costoso e pieno di imprevisti.

Un’azienda è fatta di dati come una casa è fatta di pietre. Ma un ammasso di dati non è azienda più di quanto un mucchio di pietre sia una vera casa.

Questa irriverente parafrasi di Poincaré’ vuole intendere che siamo tutti consapevoli che la complessità aziendale  non sarà mai riducibile ad un qualche pugno di dati. I dati sono infatti una rappresentazione semplificata di una realtà complessa. 

Siamo altrettanto consapevoli, però, che le aziende e le attività che non sono guidate col supporto dei dati, solitamente sono guidate dal caso e dall’improvvisazione. È proprio questo a rendere l’uso di dati e metriche così importante: ci permettono, semplicemente, di non sprecare tempo e risorse!

In anni recenti ha avuto una certa eco il dibattito: meglio data-driven (guidati dai dati) o data-informed (informati dai dati)? 

Noi risolviamo l’alternativa tra i due approcci con una “fusione” che Sintetizziamo così: guidare col supporto dei dati.

Troppa informazione, del resto,  equivale a nessuna informazione. Questo fenomeno è noto come paradosso della scelta e l’unico modo per difendersi è proprio quello di diminuire il numero di informazioni sul tavolo e semplificare il processo di decisione. Pochi dati ma buoni, insomma.

Metriche: Big Data, Small data ed il business nel “mondo reale”.

La questione fondamentale relativa ai Big Data parte da una fallacia di fondo: offrendo la possibilità di agire sulla totalità delle informazioni e non solo su campioni statistici, essi permetterebbero di elaborare risposte veloci, economiche e straordinariamente più precise sul mondo che ci circonda. 

Si pensa a questi dati come se si auto-organizzassero per rivelarci “verità assolute”.  Sono invero molto spesso impersonali e poco fruibili nella quotidianità. 

I Big data, lungi dal poter essere utilizzati da imprese ed organizzazioni “normali” per estrapolare teorie e leggi universali utili all’umanità, costituiscono tuttavia un rischio individuale rilevante, considerando che aziende e istituzioni stanno sfruttando le innovazioni tecnologiche e la diffusione delle stesse a miliardi di individui, per immagazzinare quantità infinite di dettagli sulle nostre vite.

Poche informazioni di buona qualità con un focus più intenso su gruppi di clienti ben definiti sono preferibili a un ampissimo dataset inutilizzabile. Spesso con una strategia concentrata sugli Small Data si arriva a risultati in modo più veloce, meno oneroso e con maggiore consapevolezza del rapporto causa-effetto esistente. Oltre a questo aspetto si aggiunge il risparmio in costi di acquisizione, raccolta, analisi e di rispetto della privacy altrui.

Per sostenere un business in un contesto reale con prospettive di lungo termine, servono fiducia e consenso di pubblico e clienti, non una quantità ingestibile di informazioni.

Riorganizziamo le idee sui dati e sulla loro essenza: i dati sono informazioni.

Esistono quattro tipi di informazioni: 

  1. le cose che sappiamo di sapere
  2. le cose che sappiamo di non sapere
  3. le cose che non sappiamo di sapere
  4. le cose che non sappiamo di non sapere

Se applichiamo questo modello al mondo del business – come propongono Alistair Croll e Benjamin Yoskovitz nel loro libro Lean Analytics , possiamo dedurne cose interessanti:

  1. Le cose che sappiamo di sapere sono i fatti. Qui i dati possono essere utili per attribuire loro una dimensione.
  2. Le cose che sappiamo di non sapere sono le domande. Qui i dati possono essere utili a cercare, trovare, valutare le risposte. 
  3. Le cose che non sappiamo di sapere sono le intuizioni. Lavorare sulle intuizioni tramite i dati significa voler trasformare ipotesi in evidenze.
  4. Le cose che non sappiamo di non sapere sono le esplorazioni. Per descrivere e valutare le nuove scoperte, ancora una volta occorrono dati ed informazioni.

Dovremmo sempre tenere in considerazione tutte e quattro queste categorie di informazione per garantire un ordine mentale nella gestione dei dati e dei risultati che tramite di essi cerchiamo di raggiungere.

Dati, innovazione e miglioramento continuo.

Il rapporto tra dati, innovazione e miglioramento è molto stretto. Cercando di innovare, sbaglieremo; sbagliando, impareremo, ma solo se misuriamo e teniamo traccia degli errori e dei successi avremo un vero Apprendimento e potremo perseguire un Miglioramento (continuo).

Il ciclo CMA definito da Eric Ries – strumento potente per trasformare l’errore in fonte di conoscenza –  si basa proprio su questa relazione ciclica e definisce il proprio vantaggio sulle tradizionali ricerche di mercato (basate su dati pregressi), perché le decisioni sul prodotto sono fondate su ciò che sta funzionando (o non funzionando) realmente e non sulla previsione di ciò che potrebbe funzionare (o non funzionare) domani.

In particolare essere consci che è proprio lavorando sulle cose che non sappiamo di sapere (intuizioni) e su quelle che non sappiamo di non sapere (esplorazioni) che possiamo arrivare a scoperte inattese ed aprire il fronte dell’innovazione.  Da intuizioni ed esplorazioni si introducono cambiamenti dirompenti che stravolgono completamente i mercati. 

La tortura dei numeri

Se torturi i numeri abbastanza a lungo, ti confesseranno qualsiasi cosa.

Gregg Easterbrook

Un set attentamente costruito di dati di supporto che offrono una prospettiva, un modello della realtà, dovrebbe essere una dotazione indispensabile per aziende, organizzazioni, professionisti, e chiunque viva di risultati. Dobbiamo essere, però, consapevoli che ciascuno di noi soffre di alcuni pregiudizi e bias. Tra questi esistono gli insidiosissimi bias di conferma; questi fanno sì che ciascuno di noi spesso veda solo le informazioni a sostegno del suo punto di vista e  dalla sua prospettiva. Questa prospettiva non è sbagliata nè giusta di per sé; il punto è che nessuna  prospettiva è davvero oggettiva.

I dati non sono stati creati da una divinità ultraterrena e poi distribuiti al genere umano. Tutti i dati sono prodotti dall’uomo che a un certo punto, ha deciso quali informazioni raccogliere, come organizzarle, come presentarle e come interpretarle.

Clayton Christensen

I dati hanno lo stesso obiettivo di chi li ha creati, in maniera più o meno consapevole. In poche parole ognuno di noi fa in modo che ogni dato e messaggio si adegui alle proprie convinzioni. Quindi per avere un approccio sensatamente guidato ed informato dai dati occorre saper considerare almeno alcuni aspetti:

  • Saper capire quali dati osservare. Non tutti i dati sono utili e tenere d’occhio informazioni sbagliate, imprecise o  fuori fuoco può dirigere il business nella direzione opposta a quella che volevamo.
  • Saper interpretare questi dati. Come abbiamo visto può essere molto pericoloso piegare i dati al proprio volere per autoconvincersi di essere sulla giusta strada.
  • Saper prendere decisioni correlate (in rapporto causa-effetto). Osservare i dati deve aiutarci a prendere decisioni consapevoli. Altrimenti è inutile.

Small Data e Jobs Theory

La funzione principale dei dati è rappresentare i fenomeni – creare, cioè, una simulazione della realtà.  I dati non corrispondono ai fenomeni,  ma ne sono una rappresentazione approssimata. Ma sui dati c’è un equivoco comune e spesso tacitamente accettato: l’idea che solo i dati quantitativi siano oggettivi.

Esistono, invece due grandi categorie di dati: 

  • dati quantitativi che ci dicono cosa sta succedendo.
  • dati qualitativi che ci aiutano a capire perché sta succedendo.

In sostanza con le analisi qualitative possiamo prefiggerci di scoprire e con quelle quantitative possiamo prefiggerci di validare. Per non cadere nell’errore di seguire i dati in maniera cieca è fondamentale tenere sempre presente il contesto. Un’informazione da sola, presa fuori dal suo contesto, può essere molto fuorviante. Ma il punto focale in un business è che se non conosciamo i nostri clienti, le loro necessità e i loro obiettivi, non saremo in grado di prendere decisioni rilevanti che ci  indicano una meta nemmeno se abbiamo disposizione tutti i dati del mondo.

Tornando alla metafora del viaggio le mappe  e le bussole ci sono utili se abbiamo una meta da raggiungere, altrimenti ci limiteremo semplicemente a vagabondare in luoghi sconosciuti.

Gli Small Data non sono indicatori diffusi ottenibili attraverso i classici metodi di indagine, ma vengono raccolti ascoltando direttamente i propri clienti (tramite interviste, test di utilizzo, osservazioni sul campo) ottenendo direttamente “alla fonte” informazioni preziosissime quando si cercano “indizi” sulle loro esigenze e sulle loro percezioni. Sulla base delle osservazioni si cerca di trarre le dovute conseguenze per la pianificazione del business. 

Tutto questo è alla base della Job’s Theory, argomento del prossimo post. La quantità e qualità di dati importa forse relativamente, rispetto ad un aspetto decisivo per risolvere i nostri problemi o interrogativi: capire quali domande dobbiamo porci.

Per questo in Local4Action abbiamo deciso di concentrarci prima sul saper osservare e ascoltare le persone i clienti ed i clienti dei nostri clienti; poi sul porci un mucchio di domande ed in ultimo ideare e testare e misurare le soluzioni.

Come dicevamo prima, vogliamo rimanere noi alla guida (e non essere guidati) col supporto dei dati (e non esserne accecati).

Question4Action